Nella piccola provincia di Gipuzkoa, ad Oñati, nel cuore dei Paesi Baschi, sorge il Santuario di Arantzazu, un tempio cupo, sinistro, a colpo d’occhio tutt’altro che accogliente. È incorniciato da montagne avvolte nella nebbia, spesso bagnate dalla tipica pioviggine del nord, fitta e fastidiosa . È il volto di una Spagna segreta, quella che piace a me e sicuramente a molti di voi, stufi dei soliti itinerari e della Spagna stereotipata dell’immaginario collettivo.

Qui regnano indisturbati il silenzio e la natura selvaggia. Loro sono i veri artefici dell’atmosfera fortemente spirituale che caratterizza la regione, loro – gli elementi naturali e atmosferici – hanno reso questo luogo il punto ideale per innalzare quello che, secondo la mia esperienza, è il più inquietante dei santuari.
Il modo migliore per raggiungerlo è in macchina. In alternativa, da Bilbao si può optare per un combinato treno + taxi, oppure dalla cittadina di Oñati è possibile prendere un autobus. I più avventurieri e gli amanti del trekking scelgono, invece, di fare il percorso a piedi tra i boschi partendo appunto da Oñati oppure da Zegama.
La storia
La costruzione del Santuario affonda le sue origini in una leggenda risalente alla metà del ‘400, un momento nel quale la comunità locale stava attraversando una grave crisi per via della siccità. Stando al racconto popolare, durante una passeggiata sulla collina, un pastore trovò un’immagine della Vergine in un cespuglio di biancospino ed esclamò, sorpreso: “¿Arantzan Zu?”, ovvero “Tu, tra questi spini?”. Era un fatto decisamente insolito e venne interpretato come un segnale divino.

Venuta a conoscenza della notizia, la popolazione si mise spontaneamente a pregare e subito iniziò a piovere, interrompendo il lungo periodo di aridità. Come ringraziamento per la grazia ricevuta, il paese intero si impegnò così a costruire un piccolo eremo, sopravvissuto nei secoli a ben tre incendi, a vari tentativi di distruzione e più volte rimaneggiato per accogliere un numero sempre crescente di pellegrini.
Il progetto
È evidente che l’architettura che si può ammirare oggi non ha niente a che vedere con quel modesto santuario quattrocentesco. La costruzione odierna è, invero, il frutto di un progetto realizzato all’indomani della guerra civile dagli architetti Luis Laorga e Francisco Javier Saénz de Oiza, vincitori del concorso lanciato dai monaci con l’obiettivo di migliorare e abbellire il preesistente santuario.
La macchina dei lavori si mise in moto, molto lentamente, solo dopo la fine della seconda guerra mondiale e si concluse nel 2005 con le ultime modifiche alla spianata che si stende davanti al tempio.



Per quanto possa apparire abbastanza tradizionale, l’impianto del tempio è davvero unico nel suo genere. Inoltre, nella forma e nella scelta dei materiali (pietra calcarea, ferro, legno) si palesa apertamente l’intento degli ideatori: adattare il Santuario all’ambiente circostante e creare un legame profondo con la natura selvaggia che lo attornia.
In effetti, sembra prendere vita direttamente dalla roccia nuda e il rivestimento a bugnato a punta di diamante, sulle torri e su parte della facciata, non fa che accentuare questa impressione (per di più, è proprio questo preciso dettaglio a riportarci all’origine del nome del luogo – “Arantzazu” – un termine che in lingua basca può significare “pieno di spine” o anche “biancospino”).


La chiesa presenta una pianta a croce latina (la più classica della cristianità) con una sola navata e 14 cappelle laterali, sette per lato. Nell’abside è custodita in una piccola nicchia la statuetta della Vergine di Arantzazu, illuminata dalla luce naturale, mentre – sul lato opposto – si collocano i due livelli destinati al coro. All’esterno, la facciata è incastonata tra due torri e arricchita dalle statue di 14 apostoli e, in alto, da una Pietà. Distacca sulla sinistra, in secondo piano, la torre del campanile.


Al di sotto del corpo principale, dove sorgeva un tempo l’umile eremo con la cappella dedicata alla Madonna, si trova la cripta. Una cripta piuttosto inusuale e del tutto lontana da quelle a cui siamo abituati. Alle pareti non troviamo né affreschi, né dipinti, ma murales enormemente evocativi, dal simbolismo estremo. Vennero realizzati (dopo trent’anni di conflitti e compromessi con i frati francescani che hanno in custodia il complesso) dall’artista Nestor Basterretxea e sono incentrati sul tema della presa di coscienza e la ricerca di tutto ciò che è oltre la realtà.




Lo stile è apertamente avanguardista, per questo il progetto del santuario fu oggetto di lamentele da parte dei fedeli, della sede pontificia di Roma e del Vescovato di San Sebastián, che doveva dare la sua approvazione. Ciò nonostante dopo tante polemiche e ripetuti stop ai lavori, il cantiere riuscì finalmente partire e l’edificio venne inaugurato nel 1969.
Alla realizzazione del Santuario di Arantzazu parteciparono tanti altri artisti, tra i quali Eduardo Chillida, il quale lavorò alle porte d’ingresso, Lucio Muñoz, per la decorazione dell’abside, Jorge de Oteixa, autore del fregio degli Apostoli, e Javier Álvarez de Eulate, responsabile delle vetrate.


Ad ogni modo, a prescindere dal gusto personale in fatto di arte e architettura, questo è un luogo veramente incredibile e riuscire a trasmetterlo con le parole non è facile (forse neanche con le immagini). Di fatto, visitare il Santuario di Arantzazu significa intraprendere un viaggio interiore, ritrovarsi a tu per tu con il divino e toccare con mano la propria caducità, che si abbia fede o meno in qualsivoglia religione.
Al suo interno, si prova uno strano senso di disagio, quasi fosse arrivato il giorno del giudizio; al suo esterno, si percepisce un’indescrivibile sensazione di inferiorità. Sono certa, tuttavia, che ciascuno possa provare emozioni differenti, di riconciliazione, di pace o magari di oblio, ma non di indifferenza. Perché se c’è una cosa di cui è capace questo posto è di riuscire a scuotere gli animi dei suoi visitatori. Di tutti, anche di quelli più imperturbabili.




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